Con le ultime acquisizioni da parte dell’ Archivio Storico Federighi, sono arrivate all’Hangar G un consistente numero di scatole contenenti decine di pizze di microfilm. Sulle confezioni mantenute egregiamente, ci sono scritte alcune informazioni tipo a cosa fanno riferimento i microfilm, la catalogazione della pizza, i numeri di fotogrammi che compongono la striscia di pellicola, l’anno di realizzazione. L’involucro si presenta con una piccola scatola di cartone ben resistente di circa 10 cm per lato. All’interno è costudita la pizza in alluminio che contiene decine e decine di metri di pellicola.
La scelta dell’ alluminio ci da conferma della data riportata sulla scatola, Febbraio 1952. Infatti fino alla fine degli anni ’50, tutti i contenitori del mondo fotografico, fra cui i bulk che contenevano i rulli , le pizze per le pellicole cinematografiche sia professionali che amatoriali, erano realizzate tutte in alluminio. L’uso della plastica per questi oggetti arrivò solo in secondo momento. A questo punto nasce la sfida di capire, o meglio, riuscire a vedere cosa nascondono queste decine di metri di pellicola. O meglio, il contenuto ce lo immaginiamo, in quanto sulla scatola è scritto a lapis “F84G”, ma non ne abbiamo la certezza.
Per visionare la pellicola servirebbe il macchinario con il quale un tempo potevano essere letti i microfilm usati per archiviare qualsiasi tipo di informazione. Trovarne uno sembrava essere una impresa titanica, e poi non avremmo avuto modo di digitalizzare con una certa qualità quello che vedevamo. Si perché l’obiettivo era quello di digitalizzare il contenuto per renderlo facilmente fruibile, ma come poter fare?
Pensare di scansionare documento documento si presentava una procedura impossibile dal punto di vista temporale. Sarebbe stato un procedimento estremamente lungo e complesso vista anche la lunghezza della pellicola , che sicuramente avrebbe portato con se problemi di gestione e posizionamento sul piano della scanner. Dunque, durante una mia visita alla nuova sede del Hangar G, Mario prende la scatolina, me la porge e mi dice: “Guarda cosa riesci a fare, Ne abbiamo decine e decine.”
Arrivato in studio , spinto da una grande curiosità, inizio a studiare “l’oggetto” anche per capire realmente cosa ci fosse dentro. Apro la scatola e estraggo la pizza, che emana un classico odore di celluloide di altri tempi. Inizio a svolgere la pellicola e noto che è molto simile a quella fotografica. La misuro e l’altezza è proprio quella, con l’unica differenza della mancanza della perforazione. Le immagini viste in trasparenza riportano tavole di disegni con descrizioni numeri e misure. Mi viene da pensare che con un po’ di pazienza potremmo costruirci un F84G in giardino, seguendo tutte queste schede. Ora la sfida più grande è come riuscire a digitalizzare il tutto con un buona qualità, ma nel minor tempo possibile. La soluzione che mi viene in mente è quella di fotografare tavola, tavola. Questa soluzione potrebbe essere la più plausibile in quanto i fotogrammi sono molto simili tra loro e l’unica
difficoltà è quella di riuscire a far scorrere la pellicola davanti alla macchina fotografica in maniera che resti fissa alla stessa distanza rendendo possibile lo scatto senza tutte le volte ricontrollare l’inquadratura.
Qui entra in gioco un mio carissimo amico. Conveniamo che dovremmo studiare un oggetto realizzato in plexiglass opalino
Qui entra in gioco un mio carissimo amico, che io chiamo il genio della lampada. Un ragazzo con una manualità
eccezionale che nel tempo mi ha realizzato delle soluzioni che mi hanno aiutato nel mio lavoro. lo chiamo e gli faccio vedere cosa devo fare. Conveniamo che dovremmo studiare un oggetto realizzato in plexiglass opalino in modo da poter sfruttare una retroilluminazione e che debba avere la possibilità di poter essere regolato nell’inclinazione in maniera da mantenere l’ortogonalità con l’ ottica della macchina.
Qualche giorno dopo l’oggetto prende forma e dopo qualche prova passa egregiamente l’esame ed inizio a fare i primi scatti. Il primo problema è quello di poter creare una illuminazione uniforme che copra l’ intera immagine inquadrata. Trovo la soluzione posizionando un flash con un piccolo diffusore ed un comando a distanza in modo da poterlo posizionare sul retro del display.
Monto l’ottica macro sulla macchina fotografica ed inizio a fare le prime prove. Funziona tutto alla perfezione.
Devo solo lavorare con diaframmi molto chiusi perché alcune volte la pellicola tende ad imbarcarsi e quindi potrei
riscontrare problemi di messa a fuoco su punti differenti. Trovo il settaggio giusto fra diaframma ed l’esposizione , così inizio a far scorrere la pellicola. Uno scatto e il lavoro scorre abbastanza spedito. Mi rendo conto che devo cercare di stare il più possibile preciso nel posizionare la pellicola davanti l’obiettivo in maniera da non dover intervenire molto sul ritaglio in post produzione.
Dopo circa poco più di 3 ore sono riuscito a passare tutta la pellicola contando un totale di quasi 1000 scatti.
Il grosso è fatto ed ora passiamo alla post produzione per poter ottimizzare il tutto. Scarico i file sul mio Mac e importo tutto in LigthRoom (per chi non lo conoscesse è un software di gestione fotografica di Adobe che permette di poter operare correzioni non distruttive su file singoli o contemporaneamente su gruppi di file). Apro la prima immagine e vedo che devo intervenire con un po’ di contrasto e controllare anche il ritaglio. Applico le correzioni alla prima immagine e dopo di che, faccio applicare automaticamente al programma le stesse impostazioni a tutte le immagini presenti. In pochi minuti il processo è fatto e i 1000 scatti sono pronti per l’esportazione con una qualità
eccellente.
Così abbastanza facilmente sono riuscito a trovare un metodo tutto sommato veloce per poter riportare alla condivisione questa massa di documenti, che altrimenti sarebbe stato veramente difficile digitalizzare se non con una enorme impiego di tempo e strumentazioni. Vedo anche già il sorriso sornioni di Mario che tra non molto mi chiamerà e mi dira: “ Quando vuoi vieni a prendere il resto delle scatole”. Questo è il mio piccolo contributo a questo gruppo gruppo di sognatori che sono i Gabarda.
Sciarpe al vento!