Dirigibili italiani nel cielo libico

Durante la guerra Italo-Turca, combattuta nel periodo compreso tra i settembri 1911 e l’ottobre del 1912, l’Italia impegnò per la prima volta al mondo in operazioni belliche il più pesante dell’aria.

Tutti gli appassionati più o meno conoscono le gesta del Battaglione Aviatori, con i relativi primati legati alle azioni di bombardamento sul nemico , quando il sottotenente del genio Cavotti gettò in due distinti sorvoli sul nemico alcune bombe dal suo velivolo. Nella stessa campagna si registrò anche la morte di un pilota, dichiarato come caduto in azione, anche se l’incidente mortale avvenne in fase di decollo.

Le esperienze maturate durante il conflitto italo-turco convinsero le nazioni europee ad investire risorse nello sviluppo del più pesante dell’aria che, come sappiamo, ancora oggi continua ad evolversi come piattaforma militare. Al contempo esse furono il prmo passo verso l’abbandono del dirigibile come strumento bellico, anche se lo sviluppo militare del più leggero dell’aria proseguì per alcuni anni, registrando un impiego intenso durante il Primo Conflitto Mondiale, in particolar modo in Italia e in Germania.

Ma quando l’Italia entrò in guerra contro la Turchia quale dei due mezzi aerei fosse il più adatto ad un impiego bellico non era assolutamente chiaro né definito, e così il 4 maro del 1912 da Tripoli si levarono in volo due aeronavi italiane, il dirigibile P.2 ed il P.3, che effettuando il loro primo breve volo di guerra.

L’intenzione dello Stato Maggiore italiano era quello di impiegare i dirigibili come mezzi per l’esplorazione ed il rilevamento del nemico, con la possibilità di utilizzare un carico bellico di caduta contro accampamenti e colonne nemica.

Quel lontano giorno di marzo nacque il concetto di “ricognizione offensiva” condotta dal cielo.